Scuola Media di Preglia di Crevoladossola, Classi 3^ A, 3^ B

COMUNITA', LINGUA ED ECONOMIA

LA VALLE FORMAZZA

La Valle Formazza forma l’alto bacino del fiume Toce, dal confine di Stato, sino all’orrido delle Casse e si spinge come un cuneo tra i cantoni svizzeri del Vallese e del Ticino verso il San Gottardo, attraverso il quale passa la via più diretta verso la Svizzera centrale e l’Europa centro-settentrionale. Il territorio di Val Formazza è ricco di ghiacciai, di alte valli rupestri e di limpidi laghetti alpini e si estende su una superficie pari a 133 kmq. Formazza, chiamata dai walser “Pumât” è l’unica valle che confini direttamente con il Goms, che fu la “valle madre” del movimento colonizzatore walser.
I coloni dissodarono l’ampio pianoro del fondovalle, alcuni nomi degli antichi villaggi di questa valle, testimoniano, con il loro suffisso “Wald”, che significa “bosco”, il tipo di ambiente che essi trovarono: Valdo-Wald, San Michele-Tuffwald “bosco nero”; Fondovalle-Stafuwald “bosco di Stivello”; Canza-Früduwald “bosco della cascata”. 
Nei pascoli più alti essi riuscirono a sopravvivere almeno fino a quando le condizioni climatiche lo consentirono. Riale e Morasco sono stati gli insediamenti colonici più alti, ai limiti estremi delle possibilità umane e, quando intorno al XV secolo il clima divenne più freddo, questi insediamenti furono abbandonati e sfruttati solo durante la stagione estiva.

IL COMUNE DI FORMAZZA

Le frazioni sono disposte da Nord a Sud lungo la valle .
Formazza è formata da nove frazioni abitate tutto l’anno e da altre sei, (quelle sottolineate nell’elenco seguente), abitate solo d’estate.

  • Undrumstaldä - Foppiano
  • Puneigä - Antillone 
  • Stafuwald - Fondovalle 
  • Matta - Chiesa 
  • Tuffald - San Michele 
  • Wald - Valdo 
  • Zumstäg - Ponte 
  • Brenn - Brendo 
  • Gurfulu - Grovella 
  • Früduwald - Canza 
  • Unnerfrüt - Sottofrua 
  • Ufufrüt - Cascata 
  • Cherbäch unner dorf - Riale Inferiore 
  • Cherbäch ober dorf - Riale Superiore 
  • Maraschg - Morasco 

Tutte queste frazioni formano il Comune di Formazza con sede degli uffici comunali a Ponte, già consacrato dalla storia come centro della valle.
A Ponte sopravvive, infatti, dal 1569, la Casa Forte, l’edificio in cui risiedeva l’Ammano che i formazzini chiamano (z) Schtei Hus (Casa di pietra) o der Turä (la Torre) per il suo aspetto singolare che si differenzia notevolmente rispetto alle costruzioni walser. L’edificio svolse in valle la funzione di Parlamento, di Tribunale e quella di magazzino per accogliere le merci in transito nelle vie commerciali dirette in Svizzera.

IL VILLAGGIO

L’insediamento rurale dei popoli romanzi è solitamente costituito da un villaggio compatto, costituito da edifici vicini; l’insediamento nella valle Formazza invece sembra corrispondere alle forme di insediamento germanico, decentrato in tante frazioni.
I villaggi sorgono lungo le sponde del fiume Toce; di fianco alla casa c’è solitamente la stalla, quindi i terreni coltivati, i prati e, verso nord, seguendo uno schema verticale di sfruttamento del terreno, si trova il bosco e l’alpeggio.
La disposizione decentrata degli insediamenti walser caratterizzata da fattorie isolate, dette ”Hofe”, già presenti nei primi villaggi alemanni nel Vallese sembra sia dovuta probabilmente alla necessità di proteggere l’insediamento dagli incendi ma soprattutto è legata alla principale attività economica delle popolazioni alpine, infatti l’allevamento di bestiame rende necessaria una vasta estensione di terreno per la produzione di fieno.
Le fattorie erano unite da un sentiero che comunicava con il centro della valle, la “Platz” dove si trovava la chiesa, la casa parrocchiale ed il cimitero.
In genere le case sono rivolte con il fronte principale verso Sud e con le falde del tetto in direzione Est-Ovest.
Nei villaggi walser non esistono strutture di carattere difensivo e le case non mostrano differenze di carattere socio-economico in grado di evidenziare una precisa gerarchia sociale anche se, le case appartenute ai mercanti indubbiamente presentano più elementi decorativi in grado di caratterizzare esteticamente le loro abitazioni all’interno del villaggio.

LA CASA

Nel Medioevo la casa walser, come in tutte le regioni montuose e ricche di boschi, era costruita in legno che è un buon isolante termico.
Le costruzioni medievali erano di breve durata e potevano essere facilmente spostate poiché non poggiavano su zoccoli di pietra, ma su pali di legno interrati. Inoltre gli edifici contadini, che si trovavano su fondi signorili, non venivano considerati beni immobili, pertanto il colono, se costretto, poteva smontarli e portarseli via. L’architettura iniziò ad evolversi verso forme più solide e meno provvisorie, solo quando le condizioni giuridiche assicurarono ai coloni il possesso perpetuo della terra.
Il materiale più utilizzato era il legno, ma per risolvere i problemi relativi all’umidità e agli insetti che avrebbero potuto provocare danni alle fondamenta di una simile struttura, le pareti di legno venivano sovrapposte ad un basamento in muratura di pietrame. In alcuni casi, soprattutto per gli edifici destinati al deposito del raccolto, la struttura di legno poggiava sui caratteristici “funghi” (di pietra o di legno) che garantiscono l’isolamento dal terreno ed impediscono l’accesso agli animali. L’abbinamento di legno e pietra caratterizza un tipo di casa che un tempo veniva chiamata “Gotthardhaus” adottata in una vasta area intorno al San Gottardo; quella di Formazza doveva essere in grado di resistere alle grandi nevicate e al vento del Nord.
Un'altra caratteristica della casa formazzina era determinata dalla stessa economia che in questa zona dell’Ossola era basata , specie a partire dal XV secolo, prevalentemente sull’allevamento: ciò determinava la necessità di stalle più grandi e separate dall’abitazione mentre la scarsa produzione cerealicola determinava spesso, rispetto ad altri villaggi, la mancanza dei loggiati per far essiccare i covoni.
In alcune frazioni, posizionate ad alta quota come quella di Canza, in Val Formazza, le case restavano invece prevalentemente costruite in legno, per la disponibilità di un larice locale di ottima qualità e molto resistente.
Nel resto della valle invece le costruzioni erano caratterizzate dall’impiego di legno e pietra: il tetto che inizialmente era ricoperto da scandole di legno di larice, fu realizzato con le piode, in grado di sopportare meglio gli sbalzi termici diurni e anche il peso delle nevicate.
Il sistema costruttivo, detto “Blockbau” era uno degli elementi più caratteristici di questa architettura e consisteva nell’uso di tronchi orizzontali, squadrati e assemblati con incastri angolari. Questa tecnica sembra che risalga al Neolitico; in Europa ci sono testimonianze antichissime di case a Blockbau nell’arco alpino, ma anche in Scandinavia, Siberia e nei Carpazi. Pur essendo diffuso anche in altre parti d’Europa e in altre culture, la popolazione Walser ne ha affinato la tecnologia e la qualità architettonica, tanto da farne un elemento caratteristico della sua area di diffusione.
I legni usati erano il larice per le travi, l’abete per i tavolati mentre il muschio era utilizzato come tamponamento tra le travi e la resina svolgeva una funzione protettiva del legname.

L’INTERNO DELLA CASA FORMAZZINA

Le case sono solitamente alte tre o quattro piani.
Nel seminterrato si trova la cantina (Chäller), utilizzata per riporvi i prodotti caseari; salendo la scala (Stäga) esterna, per non togliere spazio agli ambienti già piccoli, si trova la cucina (Firhüs) con il focolare (Firblatta); si entra quindi nella Stube sul cui soffitto a cassettoni di rosso larice, una grossa trave portante reca inciso il nome del costruttore, la data e molto spesso anche un’invocazione religiosa.
Anima della casa è una larga stufa in pietra ollare (Ofe) che è posta in un angolo della Stube (sala da pranzo) e viene caricata dal retro, con uno sportello che si apre nel vano d’ingresso (il “Vorhaus”) o nella cucina (Firhüs).
La Stube, il confortevole soggiorno foderato di larice ed esposto al sole, gode così di un calore diffuso e costante, senza che la stanza venga invasa dal fumo.
Secondo l’opinione prevalente, l’uso della Stube riscaldata in questo modo razionale e semplice, risale al XII secolo e si è diffuso dalla Germania meridionale all’Alta Baviera e alla regione alpina. Si può dire con certezza che i Walser l’abbiano adottata fin dall’inizio della loro impresa di colonizzazione.
Nella Stube venivano scritti, durante l’inverno, gli atti notarili e si svolgevano le riunioni del tribunale o del consiglio della comunità.
La Stube veniva arredata con panche, tavoli, sgabelli, cassapanche, letti a cassetto, madie e pochi altri oggetti; all’interno della stanza c’era un angolo riservato al culto religioso dove venivano appese le immagini sacre.
Nella Stube si consumavano i pasti, si leggeva e si cantava, si filava e si pregava, ci si dedicava ai piccoli lavori manuali come l’intaglio o il ricamo. Nella Stube si nasceva e si moriva.
In una piccola apertura non molto appariscente nella parete, c’è l’impianto del Seelenbalgeen, una finestrella che veniva aperta alla morte di un famigliare, perché l’anima trovasse il passaggio per uscire, e poi richiusa di nuovo e tenuta ben sbarrata perché il morto non trovasse più la via del ritorno. La credenza paurosa del ritorno dei morti ha dettato questa curiosa precauzione costruttiva.
Accanto alla Stube si trova la camera più piccola ma più calda, destinata ai nonni.
Con una scala piuttosto ripida si sale al piano superiore (Sottotetto), dove si trovano gli altri ambienti di riposo (Spicher).
Il resto del sottotetto è utilizzato come ripostiglio.

LA LINGUA

Il Pumattertitsch è il dialetto walser parlato a Formazza. ”Pomatt” è il piano, indica il fondovalle dove si coltivava e “titsch” è propriamente il dialetto.
Il titsch deriva dal tedesco antico e appartiene alla famiglia linguistica detta “alemanno meridionale”. Alcuni studi e ricerche hanno svelato delle affinità linguistiche tra le popolazioni dell’Oberland, Goms, Formazza, Bosco Gurin e le colonie dell’Alta Rezia che hanno permesso di ricostruire la storia e le tappe della colonizzazione walser e di comprendere in alcuni casi anche la derivazione di una colonia da un’altra.
Il walser parlato nelle varie colonie si è nel corso del tempo diversificato subendo l’influsso delle lingue parlate dai popoli confinanti, così per esempio in Formazza è stata molto forte l’influenza del vicino Vallese ma anche dell’italiano.
Nel corso dei secoli il titsch è stato tramandato oralmente anche se non mancano testimonianze scritte rintracciabili per esempio all’interno delle vecchie case walser dove era consuetudine incidere dei motti sulla trave maestra o sul tavolo da pranzo.
Qui di seguito riportiamo un’iscrizione incisa nella trave maestra in casa Anderlini di Grovella e un’altra incisa invece sul bordo del tavolo da pranzo in casa Matli a Valdo:

1769-VIR-BRIDER-BEIDE-PETER-UND-CAROLUS-…HABEN-DISES-HAUS-LASSEN-BOWEN-MIT-AUF-GOTES-UND-MARIA- FERTERAWEN-O-DU-TADLER-LAS-MICH-UNFERAH-DAN-DU-REDS-GANS-UNBEDACH.
(1769 Noi due fratelli Pietro e Carlo abbiamo fatto costruire questa casa con fiducia in Dio e in Maria. O tu , criticone, non disprezzarmi, poiché tu parli proprio senza riflettere)

TRINCK-UND-IS-UND-GOT-NIT-FERGIS. 
(Bevi e mangia e non dimenticare Dio).

Nella storia di questo dialetto, sopravvissuto oltre 800 anni si possono individuare alcune importanti fasi :

  • Dal 1800 al 1920, periodo in cui i walser parlano solo il titsch e l’italiano è inserito nell’istruzione scolastica come una seconda lingua. Il dialetto walser è ancora molto attivo grazie ai frequenti contatti con il Vallese e a un sostanziale isolamento dalla zona di lingua italiana.
  • Dal 1920 al 1930, periodo in cui si parla il titsch in famiglia ma a scuola si parla l’italiano. Il regime fascista prevede multe per tutti coloro che vengono sorpresi a parlare il dialetto. E’ questa una fase di bilinguismo, con una lingua ufficiale , imposta dalle istituzioni, parlata nella scuola ma anche in Chiesa durante la predica e la catechesi, e una lingua ”familiare”, parlata entro le mura domestiche o con i conoscenti.
    La costruzione della strada nel 1920 portò in valle i turisti e la costruzione delle centrali idroelettriche portò un afflusso di operai provenienti da altre regioni italiane, questi fattori sicuramente stimolarono i walser ad un uso più frequente della lingua nazionale.
  •  Dal 1940 fino ai giorni nostri, periodo in cui tutti i formazzini parlano l’italiano la cui conoscenza è stata favorita anche dalla diffusione di radio, televisione, giornali.

Da un’indagine svolta nel 2002 a Formazza risulta che su 439 abitanti, 191 hanno una competenza attiva del dialetto walser; 46 possiedono invece solo una competenza passiva (cioè capiscono ma non parlano il dialetto);202 non hanno alcuna competenza.
Anche il dialetto come una lingua, è destinato ad evolvere, così sono entrati nel titsch parole italiane, soprattutto termini tecnologici che sono stati trasformati in forma tedesca, così il frigorifero è diventato Der Frigor; la lavatrice, T Waschmakkena; la televisione T Telewisiun .
I giovani poi tendono a introdurre una costruzione sintattica sul modello di quella italiana: mentre un anziano di Formazza direbbe: Ech gaa as Böch ga chöifa (io vado un libro a comperare) facendo quindi precedere il complemento oggetto rispetto al verbo, i giovani dicono: Ech gani äs ga chöifa (io vado-io a comperare un libro).
L’uso dei tempi verbali è piuttosto limitato: il futuro, l’imperfetto e il passato remoto non esistono. Per esprimere un’azione futura si ricorre all’uso di un avverbio di tempo: Möra gani (andrò, formato da domani + vado).

ECONOMIA

L’economia walser si può definire mista in quanto si basava principalmente sull’allevamento del bestiame e la lavorazione del latte ma anche sull’agricoltura.
Le colture agricole sono state praticate dai Walser anche a quota elevata ed erano destinate alla produzione di cereali particolarmente resistenti al freddo, come la segale e alla produzione di foraggio per il bestiame.
Un’altra importante attività fu il commercio, i coloni vendevano le loro eccedenze, bestiame, carne e formaggio per acquistare tessuti, attrezzi ma soprattutto il sale, necessario per salare il formaggio e conservare la carne.
L’economia walser che per gran parte si può definire autarchica, cioè autosufficiente, in realtà si apre anche ad altri mercati che riforniscono i beni necessari e accolgono i prodotti walser fornendo quindi ai coloni anche una piccola fonte di reddito.
Un altro aspetto importante dell’economia walser è il nomadismo, i coloni infatti continuavano ad emigrare alla ricerca di nuove terre da disboscare e dissodare. Infatti, all’interno della fattoria per molto tempo il podere paterno veniva ereditato dal primogenito; gli altri figli quindi emigravano per procurarsi nuove terre. Ma quando anche le più sperdute località alpine furono sfruttate e coltivate, i walser persero la possibilità di colonizzare altre terre, divenne allora necessario dividere il podere paterno tra i vari figli.
A questo punto, per integrare i redditi dell’allevamento e dell’agricoltura, i walser divennero someggiatori o scelsero di emigrare.
I someggiatori erano trasportatori che conducevano le carovane di muli carichi attraverso i valichi fino alle soste; questa attività fu molto importante in quanto andò ad integrare il reddito proveniente dall’allevamento e dall’agricoltura che, specie negli anni di carestia poteva essere molto scarso. Nacque così la figura del contadino-someggiatore, infatti nel periodo estivo il colono si dedicava all’agricoltura finalizzata anche al mantenimento dei muli che avevano bisogno di erba per il pascolo e di foraggio per l’inverno; nel periodo invernale, quando la terra riposa, il contadino diventava someggiatore.
Il trasporto delle merci si svolgeva in due modi: il primo era quello esercitato direttamente dai mercanti o da persone incaricate dalle compagnie commerciali che si servivano di muli propri ed era detto del “Forletto”, dal nome del pedaggio che i mercanti pagavano alle comunità insediate lungo la strada commerciale e che impiegavano quei compensi per la manutenzione delle strade.
Il secondo modo, più antico e più sicuro, era quello detto “a tappe”: le merci venivano affidate ai trasportatori locali che, organizzati in vere e proprie corporazioni, trasportavano la merce lungo il tratto stradale di loro competenza in una sorta di staffetta di someggiatori che copriva l’intero percorso.
Da Formazza salivano verso il territorio svizzero il grano e i vini ossolani; dall’Oberland Bernese a Formazza giungeva il celebre formaggio “Sbrinz”, bestiame ed anche i cristalli di Engelberg , merce che da Formazza avrebbe raggiunto i più importanti mercati e corti dell’Italia settentrionale.
Gli Statuti di Formazza introdussero alcune norme che volevano scoraggiare la someggiatura del ”forletto” per favorire l’impiego di someggiatori locali e ciò testimonia appunto l’importanza economica di questa attività per la valle.
Lungo le vie commerciali nacquero numerosi punti di sosta e locande la cui attività molto fiorente contribuì all’arricchimento di diverse famiglie di mercanti formazzini che costituirono il ceto emergente della comunità, come i Barchtold von Pomatter, gli Schmid, i Minoja.
In molte colonie walser l’attività della someggiatura andò in declino durante la “piccola età glaciale”, a partire dal XVI secolo quando i ghiacciai avanzarono e interruppero le grandi vie di comunicazione. Fu allora che molti walser scelsero di emigrare o, come nel caso dei coloni stanziatisi sul Rosa, di andare a lavorare nelle miniere. Per quanto riguarda Formazza invece l’attività dei someggiatori poté continuare perché i valichi restarono transitabili e ciò permise di far fronte al sempre più scarso reddito agricolo dal momento che con il freddo le terre divennero meno produttive e molti pascoli andarono perduti.

LE VIE COMMERCIALI

Nell’antichità l’uomo considerava le Alpi come una barriera e un ostacolo di fronte al quale si arrestò. I primi uomini che ebbero il coraggio di avventurarsi ad alta quota furono i cercatori di minerali e i cacciatori. Ma dal IX secolo ci fu un miglioramento del clima e un risveglio religioso che portò a edificare monasteri come avamposti nel deserto alpino; benedettini e cistercensi avviarono i primi dissodamenti, la costruzione di strade e ponti e, con la loro presenza, allontanarono definitivamente quella secolare paura dell’uomo nei confronti della montagna.
Da quel momento l’uomo iniziò a vivere stabilmente in montagna e a non temere più neppure le alte quote né i viaggi in questo territorio così irto di ostacoli.
Così nel paesaggio alpino non solo nacquero monasteri e villaggi ma si aprirono strade e valichi attraverso i quali si realizzava il commercio con il territorio svizzero e con l’Europa centrale.
Una via commerciale da Domodossola, percorreva tutta la valle Antigorio e Formazza e, da Riale, si biforcava: a destra, verso il Passo di San Giacomo; a sinistra verso il Passo del Gries (2479 m) e il Passo del Grimsel (2175 m).
Il Passo di San Giacomo (2313 m) che collegava Formazza a Bedretto e Airolo e quindi al San Gottardo, era anticamente detto “Montagna della Valdolgia”.
Lungo questa via, soprattutto tra la fine del ‘300 e l’inizio del ‘400 si svolgevano intensi traffici commerciali tra Ossola e Svizzera; il territorio era allora dominato dai signori feudali De Rodis che, proprio mantenendo il controllo del transito alpino, rafforzarono il loro potere politico.
L’intensificarsi dei commerci attraverso la Valdolgia è testimoniato da regolamenti scritti nel corso del ‘400 che disciplinano il comportamento dei trasportatori svizzeri e ossolani. Ci sono poi numerosi documenti relativi a liti tra somieri formazzini e svizzeri, resoconti di discussioni, verbali e multe che ci raccontano chiaramente dell’importanza dei pascoli lungo questa via e della necessità di mantenere il percorso pulito, sgombro da neve per poter prolungare al massimo il trasporto delle merci.
Per poter trarre maggiore profitto dal transito alpino i someggiatori attraversavano il valico anche in pieno inverno utilizzando i buoi per aprire un varco nella neve alta.
Nei primi anni del ’400 nella piana di Valdolgia, in prossimità del Passo, fu costruito un ospizio dedicato ai santi Nicolao e Caterina, successivamente, in occasione di una sua ricostruzione, fu intitolato anche a San Giacomo, protettore dei pellegrini.
La presenza di un ospizio è molto importante e testimonia la necessità di un ricovero e di assistenza lungo un percorso che doveva essere intensamente frequentato.
Sarà proprio lungo questa via che le truppe svizzere che ambivano al controllo dei valichi alpini, entrarono ripetutamente nel territorio ossolano. Non solo eserciti ma anche pellegrini e devoti frequentavano questa via in una processione molto importante che da Formazza arrivava fino al San Gottardo in un percorso di 40 chilometri. I rapporti religiosi che i Walser mantennero con il Vallese sicuramente stimolarono gli intensi rapporti commerciali così come il legame religioso con la madrepatria fu favorito anche dall’attività commerciale che dava modo ai mercanti di frequentare il territorio svizzero e quindi anche i suoi luoghi di culto.
La via diretta verso il Passo del Gries e del Grimsel divenne particolarmente importante in seguito alla fondazione di Berna nel 1191, infatti il primo impegno della città fu quello di procurarsi una strada commerciale che permettesse di attraversare le alpi ma che fosse indipendente dal controllo politico di qualche signoria .
Nel 1397 si incontrarono nel Vallese alcuni rappresentanti di Berna, di Munster, di Interlaken, dell’Hasli, dell’Ossola e Formazza per concordare le modalità di manutenzione e sicurezza della strada.
Lungo la via del Gries transitavano i mercanti provenienti dalla Lombardia e da ogni regione italiana; una serie di regolamenti scritti tra il XV e il XVI secolo confermano l’importanza di questa via.
Sul versante ossolano erano stati i De Rodis ad allestire ospizi lungo il tratto ossolano della via.
Tra il XIII e il XIV secolo essi fondarono un ospizio in riva al Toce, nei pressi di Vogogna e Premia dove varie discendenti femminili del casato prestarono la loro assistenza.
Ponte era la più importante delle soste nel percorso ossolano; nel 1569 la comunità di Formazza vi edificò una Casa-forte, un imponente edificio a tre piani in cui venivano depositate le merci in transito. Il commercio più importante lungo questa via fu certamente quello del vino ossolano diretto verso oltralpe; la coltivazione della vite era un’attività molto praticata nei dolci pendii terrazzati delle valli e il “Prunent” di Masera rappresentava uno dei migliori vini.
Transitavano inoltre sale, cereali, panni e spezie; il grano spesso veniva nascosto e venduto di contrabbando perché esistevano norme piuttosto rigide che ponevano forti limitazioni all’esportazione, a seconda dell’annata o delle mutevoli relazioni politiche tra gli stati. Per evitare gli sbarramenti doganali del Sempione, i mercanti “di sfroso” preferivano transitare verso la valle Antigorio e Formazza mentre il Podestà di Domo tentò, anche con pubbliche grida, di scoraggiare quel percorso per favorire il transito del Sempione.

Letztes Update: 01/07/2018 ore 13:32:37

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